15 settembre 2016

Questa non è una giornata in barca, ma una storia che parla di noi, di amore, di barche e di sogni.

Shibumi e Ezechiele, due nomi propri, uno di cosa, uno di persona; uno femminile, l’altro maschile. Shibumi è una barca, una signora barca, Ezechiele invece è un bambino mai nato. Shibumi una barca cercata, Ezechiele un bambino aspettato. Shibumi è nei nostri pensieri quotidiani, Ezechiele ha preso posto nel nostro cuore con gli anni, insieme agli altri due.

Tutto è iniziato la scorsa estate, la voglia di allargare la famiglia e di conseguenza la necessità di una barca più grande; oppure il contrario, la necessità di una barca più comoda per girare il mondo e la voglia di riempirla di pannolini e biberon. Comunque sia la direzione del pensiero era questo quello che volevamo fare: prendere una barca più grande.
Rientrati in cantiere a Preveza dopo il nostro giro del Peloponneso ci fermiamo qualche giorno con Naos in secca per le pulizie di fine stagione, nell’avanti indietro dal bagno o dal locale spazzatura, facendo lo slalom tra le barche sugli invasi ne vediamo una che ci cattura come il ferro alla calamita o, visto che siamo in Grecia come le api ai fichi. Un Mikado 56, 18 mt di scafo, bella, elegante quanto lo può essere una barca oceanica, solida, due alberi, un bel ponte piatto in teak, pozzetto centrale, un po’ quello che faceva a caso nostro, ci buttiamo sopra gli occhi e lì li lasciamo.

A settembre, tornati a Milano nel marasma della routine, Ste in ufficio, colto da noia e sconsolatezza, si mette alla ricerca, un po’ per cazzeggio un po’ per curiosità di un Mikado 56 in vendita. Come prima risposta alla ricerca fatta su google esce il sito di un broker che gestisce la vendita di barche in Gracia-Preveza-cantiere Ionio…e ci appaiono le foto della barca su cui avevamo lasciato gli occhi il mese prima.

Dalle foto spicca il nome Shibumi, particolare che ci era sfuggito quando la guardavamo dal vivo nel cantiere. Ste inizia a documentarsi meglio sul tipo di barca e informazioni dopo informazioni capisce che è la barca che fa al caso nostro.

A ottobre un test di gravidanza positivo era la conferma che il nostro progetto forse stava davvero prendendo forma, una bella forma. Uno scambio di mail con il broker e tutto era pronto per andare in un weekend a conoscere Shibumi, non solo guardandola da fuori, ma entrando dentro le sua parte più intima, quella che ci avrebbe ospitato, quello che sarebbe stato il nido della nostra vita futura. Oltre a dare un occhio alle condizioni e agli eventuali interventi da fare, volevamo immaginarci già la nostra vita li dentro, la nostra cabina, quella dei bimbi, quella per tutti gli amici che verranno a trovarci, studiare un accesso in mare per rendere autonoma Pepper, la cucina che deve essere ampia e spaziosa, insomma volevamo avere conferma che anche dentro rispettasse i requisiti da noi richiesti.

Tra l’entusiasmo di nuovi progetti e la malinconia dell’estate appena passata, lasciamo che accada quello che poi è accaduto.

Avremmo approfittato un work shop a Bari di Stefano e dell’imminente ponte dell’Immacolata per traghettare fino a Igoumenitsa e con un’auto affittata andare in cantiere a fare il nostro incontro. La stanchezza che caratterizza l’inizio di una gravidanza, l’assenza di voglia di affrontare un viaggio così intenso per 3 giorni, mi avevano fatto cambiare idea, sarebbe andato solo Ste e avrebbe fatto un servizio fotografico degno di ogni depliant. Anche l’idea di stare però a Milano sola con due bimbi con nausee e lui lontano non mi faceva stare tranquilla. Così anche Ste decise di rimandare, “Andremo più avanti, quando abbiamo passato i tre mesi difficili, tanto non scappa”.
Così con le prime visite dal ginecologo arriva anche il Natale. Oramai era il terzo mese, viste le due esperienze passate andate male, il terzo mese ci dava un po’ di fiducia e decidiamo di comunicare ai bambini l’arrivo del 5 Barberis la mattina di Natale.

Sotto l’albero tra i mille pacchetti e pacchettoni spunta una busta bianca, sopra scritto per Iago e Nina da mamma e papà. “Questo è il nostro regalo di Natale per voi”, loro in religioso silenzio aprono la busta. Tra le manine hanno un’immagine in bianco e nero che non riescono a definire. Iago azzarda un “ma sono io nella pancia della mamma?” Nina non capisce, i loro sguardi interrogativi non fanno tardare le nostre parole. “Mamma e papà vi regalano un fratellino, o sorellina che sia” Iago inizia a saltare per il salotto come un pazzo urlando “si lo sapevo, si lo volevo tanto”, Nina rimane con la bocca apert per qualche minuto, fino poi a tuffarsi sulla pancia e sussurrare “Vero che sei una sorellina?”. Anche i muri di casa trasudano felicità ed emozione. All’arrivo dei parenti per il pranzo natalizio Nina non da nemmeno il tempo di togliere sciarpa e cappello che già da la notizia. Con il sorriso stampato in faccia tutti quanti trascorriamo uno splendido Natale e anche i giorni a seguire non sono di meno.

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Io tutto sommato stavo bene e andare via per il Capodanno con amici sulla neve non aveva controindicazioni, anche perché dal controllo fatto la settimana prima di Natale era tutto ok, il piccolo Ezechiele (nome scherzoso temporaneo) cresceva alla grande. Avevamo trovato una casa con Airbnb proprio nel paese dove avevano casa anche degli amici e partiamo. La voglia di condividere con loro questo momento di gioia era tanta. Per me niente bobbate e sciate in compenso tanta felicità, battute, il fantasticare sul futuro, i brindisi dove io ero perennemente esclusa, i bimbi che sventolano a tutti gli amichetti l’arrivo di un fratellino, le loro carezze e paroline alla panciotta che prendeva lentamente forma, la lanterna lanciata la notte di Capodanno ricca stracolma di pensieri positivi e di sogni a 5.

Poi arriva il 3 gennaio, l’ultima passeggiata nella neve in compagnia perché domani si rientra in città, pacchia finita, ma ritorniamo a casa con l’entusiasmo di chi un viaggio in realtà lo deve ancora cominciare. I progetti per il 2016 sono tanti e non vediamo l’ora di iniziare a vivere una nuova vita con un marmocchietto morbido in casa. Arriva un inaspettato malessere, “strano” penso io da un po’ non avevo più nausee e fame assassina, sono praticamente fuori dal primo trimestre, cosa succede?

Il pomeriggio entriamo in casa dopo due passi nella neve che la notte era scesa copiosa e ha imbiancato tutto intorno di un bianco candido e ovattoso. Avrei dovito chiudere le valige e sistemare la casa…

Una voce dal bagno” Cazzo Ste sangue!!!” io urlo terrorizzata, Iago mi guarda impietrito, lo mando fuori e lo rassicuro, ma lui non è scemo. Carichiamo i bimbi in macchina e li lasciamo a casa dei nostri amici, senza fretta, ma oltrepassando di gran lunga i limiti di velocità consentiti sui tornanti, raggiungiamo l’ospedale più vicino. “La ginecologia dal 1 gennaio 2016 non c’è più” ci dice una donnina in camice bianco, cosi la corsa fino all’ospedale di Trento, i dolori che si mischiano alla paura, le gallerie interminabili che si susseguono come i pensieri che ci frullano nella testa, la mia mano che non ci pensa minimamente a staccarsi dalla sua e Ste che come me, zitto guarda avanti con lo sguardo perso nel vuoto cercando di non sbagliare strada. Non una parola non uno scambio di battute, nemmeno la radio accesa, solo silenzio che lascia spazio a tanta confusione.

Il parcheggio, l’accettazione, l’attesa, e nello stomaco sentirsi già quello che stava accadendo, il corpo non mente. Un velo di speranza che l’epilogo sia differente da quello immaginato viene data da una cioccolata calda della macchinetta e da una mano ferma e dolce che rassicura sempre, la Sua. Ma la raffica che spazza via la speranza ci viene data dopo la visita: “Signora, la gravidanza si è spenta”.

Le gambe cedono, come tutto il resto: sogni, progetti tutto si è sgretolato in una manciata di secondi. Una donna, che sia il primo o il 6 figlio si sente madre da subito, col cazzo che sono solo cellule…è solo un embrione…c’è un cuore che batte, è un cuore che batte è vita, una vita che dentro di me non c’era più. La carrambata della ginecologa romana che era nella stessa compagnia di Stefano nel periodo che ha vissuto a Roma, ha congelato per un attimo il dolore che mi stava travolgendo, ma poi, appena risaliti in macchina, la presa di coscienza di ciò che era accaduto è sfociata in un fiume in piena di lacrime. Lo sapevamo che sono cose che capita, ci era già successo due volte, andavamo con i piedi di piombo nel comunicarlo a tutti, cercavo di non fare troppi sforzi, ma stava andando tutto bene, eravamo alla 12°settimana, perché!!?? Il momento peggiore è stato ritornare dai bambini. Incorciando gli occhi di Iago mi ero accorta che rispecchiavano i miei, terrorizzati, stanchi, doloranti me li ricorderò per sempre. Il disegno di Nina un albero con un nido e gli uccellini dentro che aspettano che la mamma che torni…domande su domande e un tentativo momentaneo di nascondere la verità. Dopo un risotto in compagnia per non cambiare i programmi già fatti, rientriamo in casa, la mansarda che ci ha scaldato per una settimana adesso era gelida, asettica, tutto aveva un colore diverso. Con parole semplici e ingoiando le lacrime spieghiamo ai bimbi che i semini di mamma e papà che si erano incontrati non sono riusciti a formare un bimbo. Il loro silenzio, era una serie di domande non fatte, taciute nel rispetto di questo momento di cui anche loro ne facevano parte. “Può tranquillamente andare a casa, male che vada avrà delle perdite un po’ abbondanti” diceva la romana. L’inferno lo abbiamo visto quella notte, non aggiungo altro. Mi addormento alle 7 del mattino, mentre i bimbi si stavano svegliando. Marghe dormiva sul divano, era arrivata alle 3 ad aiutare Ste, perché mentre lui assistiva me stesa sul gelido pavimento del bagno, Nina vomitava l’anima in camera, le cose difficili si muovono sempre in coppia; chiudiamo le valige e facciamo rientro a Milano

Le pareti di casa profumavano ancora di panettone ed era come se fossero in trepida attesa del nostro rientro per vivere insieme la novità dell’anno. In casa c’era ancora quell’aria di festa che avevamo lasciato un settimana prima. Chiudendo la porta di casa, prima di partire per il Capodanno, avevamo parcheggiato li i nostri progetti in attesa di sviscerarli al nostro rincasare, ma aperta la porta solo tristezza e dolore mi avvolgevano. Accettare e non dimenticare era la strada da percorrere, come si dovrebbe sempre fare.

Piu cerchi di dimenticare un evento più quello ritorna alla mente, più dici “basta, voglio dimenticare” più il pensiero ricorre nella tua testa, portando tristezza e sofferenza, solo se accetti sei libero.


I giorni passavano, i bambini sono stati un buon deterrente per ansia e depressione, ricadevamo in piedi, ancora una volta, forse è solo stato il lato macabro di quella notte che ha dato una valenza più dolorosa all’evento. Adesso siamo di nuovo in pista, abbiamo comunque il progetto della barca da portare avanti, ci concentreremo su quello, per un bimbo possiamo aspettare, ci rimettiamo nelle mani di madre natura che anche questa volta ha fermato qualcosa che non era destino venisse al mondo. Guardiamo avanti, ero positiva pronta a ripartire, l’entusiasmo aveva ripreso a vivere in ogni mia cellula.

Una sera davanti al camino di un inverno che tardava a finire Stefano mi dice “ non volevo dirtelo prima, non mi sembrava il momento, ma al rientro dalla montagna mi ha scritto l’agenzia di Preveza e Shibumi è stata venduta”. Ok e adesso? un altro tuffo nella sconsolatezza, amareggiati, incazzati, delusi, scoraggiati…
Le giornate scivolavano, ogni tanto Ste mi mandava la mail di qualche surrogato di Shibumi in vendita, ma non era la stessa cosa… ogni tanto provavamo a programmare le date per mettere al mondo la nuova creatura, ma poi ci ripetevamo che non siamo noi a decidere. Il nostro progetto era diventato come un bel quadro appeso alla parete e li rimase fino a metà marzo; poi un ritardo, un test di gravidanza tra le mani, io e i miei bimbi chiusi nel bagno di casa. “ok bimbi se tra un minuto ci sono due righini arriva un bimbo altrimenti no”. “Mamma mamma due righini nasce,nasce,arriva arriva!” la corsa in ufficio da Stefano e i bimbi che in coro dico al papà lui statuario, senza proferire parola, i suoi occhi si illuminano:

uno spiraglio da quella porta chiusa si stava riaprendo.

La voglia dei bimbi di urlarlo al mondo era grande, ma volevamo aspettare, dovevamo aspettare. Quando ti bruci poi vai cauto col fuoco. Così per tre mesi hanno taciuto, per tre mesi due bimbi di 4 e 7 anni hanno tenuto nel loro cuore “il segreto della loro famiglia”. Solo Nina ogni tanto all’asilo diceva che la sua nonna aspettava un bambino, poi un’altra volta era la zia, poi il cane…ma mai la sua mamma!


Passavano i giorni e Stefano trova on line una barca identica a Shibumi, piccolo particolare è che fosse a Lisbona. Cerco di organizzare un week end per andare a vederla, ma come sempre nessuno ci poteva tenere i bambini così rinunciamo, o meglio troviamo un’alternativa. Ad aprile, fresca di gravidanza saliamo in aereo e andiamo a fare un viaggio in Andalusia,tutti e 4… già che eravamo in zona abbiamo fatto una scappatella a Lisbona per vedere Maria Filipa, un Mikado 56 come Shibu.

Un nuova finestra era stata aperta. Bella, un po’ cara ma si poteva trattare il prezzo, peccato la quantità di lavori per rimetterla in pista. Congeliamo l’idea di Maria Filipa e ci pensiamo su. Passa aprile, maggio e a metà giugno, nel pieno dello stress da ultime collezioni da consegnare, valige da chiudere ecc..ecc… come le cattive notizie non vengono mai sole, anche quelle belle non sono di meno. Una telefonata di Stefano: “Sa è tornata Shibumi!!!” io non capivo ero confusa. Stefano, che non si era arreso alla ricerca di una casa galleggiante, ritrova su un sito inglese di nuovo in vendita Shibumi. Chiama per avere conferma che sia lei, si è lei!

Non ci pensa due volte a fissare un appuntamento per andarla a vedere a fine giugno quando saremmo stati a Preveza per partire per le nostre vacanze con Naos (la vecchia barca). Nel scendere a Bari per prendere il traghetto facciamo sosta al porto di Ancona dove Chimera, un altro Mikado 56, ci stava aspettando per essere visto e valutato.

Anche questa grande bel barca, praticamente nuova con tutti i comfort di una casa, però galleggiante. Prezzo un po’ elevato per le nostre tasche vuote e un layout che non era proprio quello che immaginavamo, ma decisamente bella. Una serie di opportunitò si stavano riaprendo, entusiasmo e fermento nell’aria, Michelino (nome temporaneo scelto da Nina per la nuova creatura) che iniziava a farsi sentire nella mia pancia, la nostra estate stava di nuovo decollando.

Shubumi era ancora lì stesso cantiere, stesso posto, stesso invaso, così, prima mollare gli ormeggi con Naos, siamo saliti a vedere Shibumi. Bella, come la immaginavamo, imponente, robusta, un salone a poppa accogliente e caldo, le cabine come le volevamo noi, un cucina spaziosa, un ponte piatto e libero da oblò che intralciano, due alberi….insomma E’ LEI! Ci spiegano che a dicembre era stata venduta ad un inglese, che si è suicidato dopo un mese dall’acquisto, così la moglie l’ha messa subito in vendita per sistemare l’eredità con i figli…ed eccoci qui.

A volte si chiama destino, o coincidenze, o fatalità chiamiamolo come vogliamo ma come è tornato un bimbo è tornata anche la barca che avevamo perso nello stesso momento, è un segno da non sottovalutare.

…a volte si chiama destino…


Come è cresciuta la mia pancia quella estate era cresciuta anche la voglia di riprogettare il nostro futuro, il giro del mondo lo sentivamo più vicino. Per due mesi abbiamo valutato i pro e i contro di una barca o del’altra, Maria Felipa è stata cassata per il prezzo, Chimera praticamente nuova, ma con un incognita sul cantiere che l’ha costruita e una disposizione interna che non ci faceva impazzire, cassata pure lei. E poi c’era Shibumi, un grande salone, spazi ben organizzati ma con un bel po’ di lavoretti per svecchiarla dal gusto inglese che la caratterizza. Insomma Lei era quello che faceva a caso nostro.

Avevamo provato a fare un’offerta alla vecchia signora, non so con che coraggio l’abbiamo fatto tenendo conto che i nostri risparmi erano pari a 0, difatti la rifiuta il giorno stesso, senza nemmeno valutarla, avrà pensato:

va bene tutto ma un’offerta così da pezzenti la rifiuto alla grande!

Avevamo passato due mesi a pensare se vendere casa di Milano, se affittarla, prestiti, strozzinaggio, vendita di organi…dovevamo capire dove andare a trovare sti fottuti soldi.

Le mie ricerche impossibili su Google erano state: “come comprare una barca senza soldi”, “barca gratis”…la ricerca di escamotage tipo società, associazioni sportive o quant’altro per avere incentivi. Niente la testa frullava senza una risposta, come frullava la mia pancia con Michelino che non dava tregua (che prima o poi avrà un nome serio).

Poi un mail dal venditore, la signora può contrattare…. cosi facciamo la nostra offerta, non che si scostasse molto da quella fatta in precedenza ma non avevamo scelta o la và o la spacca.
A fine agosto eravamo stati a rivederla, ma a differenza di giugno ora la guardavamo con un occhio diverso, come se fosse un po’ già nostra, anche se magari non lo sarà mai, ma avevamo ripreso a sognare. Lasciavamo la Grecia i primi di settembre appesi ad un’offerta che doveva ancora attendere prima di essere accettata o rifiutata. Pensavamo che forse non avremmo mai avuto una nuova barca, forse non saremmo mai riusciti a fare il giro del mondo, forse riusciremo a mala pena ad arrivare a Gibilterra, o nemmeno, non lo potremo mai sapere quello che accadrà, l’unica cosa che sapevamo è ogni passo che avremmo fatto da lì in poi sarebbe stato fatto per segnare un cammino che avrebbe portato ai nostri sogni.

Siamo tornati a Milano, questa volta la routine non ci travolse: avevamo un progetto!

I segnali vanno colti, il destino ce lo si costruisce giorno per giorno (anche se la fortuna aiuta), certo i sogni non ci avrebbero fatto trovare i soldi sotto il cuscino, ma noi non molavamo il colpo, la ruota gira, chissà mai che sotto l’albero di Natale insieme a Michelino avremmo trovato anche un bel gruzzolino.


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