<<Oggi andiamo a Porto Kagio, passeremo li la notte perché è un posto molto protetto dai venti da nord>>. La mia faccia si sovrappone immediatamente all’emoticon della tristezza. In questo posto ci siamo già stati due o tre volte, è una baia Sì protetta dai venti da nord, ma anche incorniciata da aspre montagne, alcune torri bizantine sgretolate e un mare profondo profondo con relitti qua e là che mi mette un po’ di ansia e poi c’è un paese, se paese si possono definire 5 case e una taverna, isolato e fuori da ogni connessione. Ore 19:30, appena imbocchiamo l’ingresso della baia il vento e le raffiche si spengono, le torri sgretolate sparse qua e là interrompono il profilo nero e sinuoso delle montagne aspre che tagliano i raggi del sole oramai tiepidi e stanchi.Qualche barca alla fonda, due o tre, l’aspettato mare nero, l’inaspettato borgo in via di ristrutturazione, qualche tenda bianca che svolazza da segni di una chicchettosa presenza umana, mi tranquillizzo. Diamo ancora, litighiamo, ridiamo ancora, va meglio. Passiamo la serata a guardare un film di balene intrappolate tra i ghiacci dell’Alaska, inquietante pure il film, poi a letto. Fuori, la luna, spunta rossa dal mare, un brusio leggero arriva dalla taverna che sta per chiudere, mi guardo intorno e non so se è perchè ormai lo trovo un posto familiare, o se è l’intento a ridare vita a vecchie mura, che non sono più spaventata, ma incuriosita. La mattina avremmo dovuto mollare gli ormeggi presto e partire, invece, con la scusa di prendere latte e pomodori, scendo a terra portando con me la curiosità della sera prima, tre bambini, un cane, la spazzatura….Andiamo diretti verso un piccolo molo dismesso, ma risultava troppo alto per riuscire a far scendere coloro che hanno le leve corte, cosi andiamo diretti verso l’unico pezzetto di bagnasciuga con la sabbia, per evitare di strisciare lo scafo del tender sui sassolini. Mi sento osservata nelle manovra. Due vecchini sotto il pergolato fuori casa che sorseggiano retzina (tipico vino bianco greco) alle 10 del mattino, ci guardano come se stessero aspettando da un momento all’altro lo scivolone in acqua di qualcuno dei presenti a bordo e poi due ragazze, sdraiate sul molo di legno dismesso, loro con lo sguardo più comprensivo del tipo, “ ma guarda sta povera crista cosa le tocca fare”. Con maestria e leggiadria passo la cima a Pepper che si tuffa in acqua e porta la cima a terra, poi scende Iago che mi aiuta a tirare il tender fuori dall’acqua, il giusto per far scendere Nina e Timo senza fare il bagno.Leghiamo il tender ad una vecchio cancelletto arrugginito rivestito di edera, poi ci incamminiamo nel paese alla ricerca di latte e pomodori…e magari del pane fresco che non guasta mai. Poche costruzioni, due ben ristrutturate con tanto di insegna “room to let”, riviste e corrette, cittadinizzate, ma senza perdere il sapore del contesto brullo e desertico. La strada non conosce asfalto, solo ciottoli e sassi che si mescolano con la sabbia, il confine tra carreggiata e spiaggia è disegnato da una fila singola di ombrelloni in paglia e blu sunbed. Passo dopo passo seguiamo l’unica via esistente, due nordici fanno colazione sotto la buganvillea della loro casa airbnb, sulla terrazza della taverna sono appesi i tentacoli della specialità di LI’ “octopus grilled”, una signorina apparecchia i tavoli che scendono fino al bagnasciuga. In spiaggia i sunbed sono quasi tutti vuoti, solo una mamma con un bimbo dentro un salvagente, due anziani, una coppia di giovincelli palliducci.Chiediamo a una signora e a un ragazzo, presumibilmente il figlio, gestori della taverna, che con complicità arrangiano i tavolini a filo d’acqua come se stessero aspettando il Papa, se non fosse contemplato un mini market da quelle parti, con un ghigno sotto i baffi, lei, mi dice di no, “very far” mi risponde, le accenno un “backery??”, ride, di nuovo, sotto quella peluria selvaggia e mi dice, un po’ a parole e molto a gesti che sarebbe passato di lì a poco un furgoncino con pane e altro. Chiedo a che ora di preciso, di nuovo ride come se stesse parlando con una deficiente, io, e mi dice “ten, decaena (11), half…”e alza le mani come per dire “ e chi lo sa?!”. Avrei voluto spiegarle che a bordo avevo un capitano che fremeva per partire, un cane che doveva cacare, tre bambini che rompevano le palle e che tra le 10 e le sue half, (12) ci stavano due ore dove tutto poteva succedere, quindi sorrido, saluto, ringrazio e proseguo. Come inizia la strada finisce, rocce e cespugli, incrociamo altre due signore: una davvero grassa e l’altra davvero vecchia, una vestita a fiori, la cicciotta, l’altra vestita a lutto con tanto di cappello in paglia tondo a tesa larga e bastone. Quest’ultima si pianta davanti a Timo e inizia uno sproloquio rigorosamente in greco che lascia tutti attoniti, Timo è perplesso, Nina con la mano sul fianco la guarda come guardi un pensionato in cassa il sabato mattina, Iago intanto si pettina il ciuffo sperando di incrociare nel nulla la strafiga del Peloponneso, io intervengo e la stoppo con un “elfcaristo, iasu” (mal scritto, ma tradotto in grazie ciao!). Lei sorride, all’appello solo due dentoni, ci saluta con la mano rugosa e bruciata dal sole e ci congediamo.Sarà, ma tutto questo mi affascina e scatena in me mille interrogativi del tipo: chi sarà mail lo chef di quella taverna? perché per fare tutti quei chilometri per andare proprio lì a mangiare, si vede che cucinano proprio bene. Dove vive la vecchina dalle mani rugose? e la cicciona? e soprattutto dove compra tutto ciò che la rende cosi tonda? Magari sono dirimpettaie, anzi sicuro con 5 case, tutti sono i dirimpettai di tutti. Cosa faranno tutto il giorno, tutti i giorni dell’anno? Una mangia, l’altra? Che tipo di persona va a prenotare una casa proprio lì per trascorrere le vacanze? Scrittori in cerca di ispirazione? Artisti in attesa di idee? Visto che la creatività salta fuori dal nulla li sarebbe perfetto. Manager di multinazionali che hanno bisogno di riconnettersi con se stessi, almeno per quello non c’è bisogno della rete, LI’ non sanno nemmeno che esista. Poi alla fine le risposte non tardano ad arrivare perché sono gli stessi motivi per cui portano proprio Noi in quei posti, proprio LI’. Non solo perché sono porti naturali, ovvio, ma perché LI’…l’ansia di essere soli si fonde con l’adrenalina di essere soli, LI’ le tracce del passato ti fanno sognare, la natura prende spazio tra le rovine della storia di chi è passato da quelle parti anni e anni fa, con una guerra, un arrembaggio e ha lasciato il segno, con navi affondate e torri a metà (c’è anche una lavatrice sul fondale, ma quella sarà della cicciona). Vedere un pozzo e immedesimarsi nella donnina col grembiule a fiorellini e i capelli raccolti sotto un triangolo di foulard, che attingeva acqua negli anni ’50, fantasticare sulle sue giornate, LI’, nel nulla. E poi la sera, il buio e quella inspiegabile sensazione di sentire il rumore del silenzio, cosa rara, che si manifesta solo quando i piccoli dormono, ma talmente profonda da portarsela dentro per tutte le ore del giorno. E poi la pazzesca beltà di madre natura, i suoi colori, le sfumature della terra e quelle dell’acqua, le infinite varianti del cielo e quelle del mare, i suoi profumi selvaggi, il frinire delle cicale e il canto degli uccelli.Tutto bello, sì, perfino scontato, anche sulle Alpi è cosi, magari senza il mare, anche in mille altri posti sul globo la natura è natura, il passato cha lasciato i suoi segni è il passato che ha lasciato i suoi segni, in mille posti al mondo la sensazione può essere la stessa, non solo in Grecia. Quello che fa la differenza per noi è che LI’ ci siamo arrivati con la nostra casa galleggiante, ed è questo che ci spinge ad affrontare le numerose difficoltà per raggiungere un sogno, per realizzare il nostro progetto, perché da sdraiata sulla mia casa galleggiante vorrei poter riuscire a sentire il silenzio di centinaia e centinaia di altri LI’ presenti sulla terra.

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